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Disabilità e bullismo: progressi e prospettive nella società che cambia

Disabilità e bullismo: progressi e prospettive nella società che cambia

Nel 2024, la società si trova ad affrontare sfide sempre più complesse nell’ambito della convivenza civile e del rispetto reciproco, con il bullismo che rappresenta una delle problematiche più acute e distruttive. Questo fenomeno, lungi dall’essere un semplice “rito di passaggio” adolescenziale, rivela le sue radici profonde nelle dinamiche di potere, nella mancanza di empatia e nella diffusione di stereotipi dannosi. Le vittime di bullismo, spesso etichettate come vulnerabili sia a livello fisico che psicologico, si trovano a dover affrontare non solo l’isolamento e la sofferenza nel silenzio, ma anche le conseguenze a lungo termine sulla propria salute mentale e fisica.

In particolare, il cyberbullismo ha amplificato la portata e l’impatto di questi atti di prepotenza, permettendo l’anonimato e una diffusione virale delle umiliazioni. Le persone con disabilità, già alle prese con barriere quotidiane e pregiudizi, emergono come uno dei gruppi più esposti a tali violenze, evidenziando una drammatica necessità di azioni mirate per la loro protezione e inclusione.

In quest’epoca di connessione globale e di progresso tecnologico, il bullismo e il cyberbullismo lanciano una sfida alla nostra capacità di costruire comunità inclusive, empatiche e rispettose della diversità. La risposta a questa sfida non risiede solo nell’intervento legislativo o nelle politiche scolastiche, ma nel profondo cambiamento culturale verso un’etica della cura e della responsabilità collettiva. Affrontare il bullismo nel 2024 significa quindi non solo combattere un fenomeno negativo, ma anche promuovere attivamente i valori di empatia, inclusione e rispetto reciproco, indispensabili per una società che si proietta verso il futuro con speranza e integrità.

Il bullismo, dicevamo, è una piaga della società che oggi più che mai fa sentire la sua eco non solo negli ambienti scolastici ma anche nel mondo del web: questo è il cosiddetto cyberbullismo che abbiamo già più sopra menzionato.
Spesso le vittime sono persone definite deboli psicologicamente e fisicamente, ma anche, come abbiamo visto, persone disabili e con problemi psichici e cognitivi.
Non parliamo di episodi sporadici o scherzi tra compagni di classe ma di veri e propri atti di prepotenza ripetuti nel tempo.
Questi fenomeni sono stati studiati da università e sociologi che oltre a definirne le caratteristiche come fenomeno sociale hanno sottolineato come vi sia un’asimmetria di relazione tra il “bullo” e la vittima, ossia tra i due soggetti il secondo presenta delle difficoltà fisiche e cognitive, dei limiti, rispetto al primo che lo rendono più vulnerabile. Ciò ci fa comprendere come la persona disabile sia a rischio e vada particolarmente tutelata in queste situazioni, a partire dalle istituzioni scolastiche.
Spesso però già la scuola presenta delle difficoltà, infatti nel panorama attuale, tra docenti che cambiano in continuazione sede e supplenti che vanno e vengono gli istituti comprensivi spesso non sono in grado di sostenere un progetto educativo adeguato alle esigenze degli alunni disabili.
Questo è un problema che dovrebbe interessare tutti noi in quanto le conseguenze del bullismo si ripercuotono su tutta la società. Non basta sensibilizzare le persone al problema o attrezzare le strutture per accogliere i disabili (il che è già un traguardo), occorre educare le persone all’empatia verso il prossimo, soprattutto verso chi è oggettivamente più debole.
I dati in nostro possesso sono preoccupanti; uno studio svolto negli Stati Uniti ha mostrato come circa il 94% dei ragazzi con sindrome di Asperger subisca vessazioni dai coetanei e come il 70% sia vittima anche di violenze fisiche.
Il primo passo è non sminuire questi comportamenti etichettandoli come ” ragazzate” ma capire che si tratta di un vero e proprio reato punibile dalla legge, “bullismo” se i protagonisti sono giovani e adolescenti e “mobbing” se si tratta di persone adulte.
Proprio la giustizia ci viene in aiuto: recentemente il parlamento ha discusso una proposta di legge specifica sull’argomento, ma già possiamo riconoscere nei comportamenti vessatori dei reati, aggravati se la vittima ha una disabilità, ad esempio: percosse( art. 581 del codice penale), minaccia (art. 612 cod. penale), danni alle cose (art.635 cod. penale).
In Italia i dati più preoccupanti sono stati raccolti dall’associazione “Telefono Azzurro” che avrebbe in media seguito un caso di bullismo o di cyberbullismo al giorno, dati che ci fanno capire l’entità del fenomeno.
Sembra inoltre che circa il 30% delle vittime abbia messo in atto comportamenti autolesionistici e il 10% abbia pensato seriamente al suicidio.
Non solo insegnanti, genitori, educatori, ma noi tutti considerandoci membri di una società evoluta dovremmo riflettere su questi dati e porci delle domande e degli obiettivi se davvero vogliamo aprirci al prossimo e al più debole in maniera autentica e non solo con apparente e inutile buonismo.
In un quadro così delicato diventa ragionevole elaborare strategie d’intervento e lavorare sui punti deboli degli interventi già esistenti. Nonostante l’Italia abbia Leggi utili ad arginare il fenomeno (anche se purtroppo ci siamo dimostrati in ritardo rispetto ad altri paesi), il problema è che ancora oggi notiamo una certa passività nei dirigenti di certi istituti che cercano di minimizzare il fenomeno, forse per salvaguardare il nome della scuola o, peggio ancora, per il mancato riconoscimento della gravità di certi atti. Ricerche fatte nel corso degli ultimi dieci anni hanno portato alla luce alcuni dati significativi al riguardo: spesso infatti i ragazzi affermano che durante episodi di bullismo alcuni adulti si comportino in modo passivo, facendo finta di non vedere. Ecco allora che dobbiamo capire quanto sia importante educare all’inclusione, all’empatia, al rispetto del prossimo i nostri ragazzi, che saranno gli adulti del domani. Riguardo al campo di ricerca molto è stato fatto in questi anni da diverse figure professionali, sarebbe utile cercare di creare un punto di incontro e di confronto tra i vari ricercatori in modo da rendere i dati sempre accessibili a tutti e il più possibile aggiornati, chiedendo magari l’aiuto economico dei vari anti territoriali, aiuto sicuramente oneroso dal punto di vista finanziario, ma necessario se vogliamo investire per una società più giusta. Ricordiamo inoltre che lo Stato ha promosso diverse iniziative per introdurre l’educazione alla salute nelle scuole, ma sottolineiamo il fatto che “salute” non è solo benessere fisico, ma anche benessere psicologico, socialità, relazione, il che non può fare altro che rimandarci al concetto di inclusione, tanto importante quando parliamo di disabilità.

 

 

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